Da San Pietroburgo a Mosca, alla scoperta della Russia

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Note di viaggio, per non dimenticare

Tra San Pietroburgo e Mosca, in un viaggio-pellegrinaggio per incontrare e scoprire un popolo e la sua storia più vera. Così è stato, a cavallo dell’anno nuovo, per un gruppo – di ormai prolungata amicizia per molti – capitanato dal parroco don Giovanni Pagani e accompagnato da Amata Schirò, di Russia Cristiana, l’associazione fondata da padre Romano Scalfi nel 1957 (ai tempi del più duro regime comunista) con lo scopo di far conoscere in Occidente le ricchezze della tradizione dell’ortodossia russa, di favorire il dialogo ecumenico e di contribuire alla presenza cristiana in Russia.

Cattolicesimo e ortodossia, comunismo e post comunismo, l’attrazione dell’Occidente consumista e il fascino misterioso della cultura e della vita millenaria di una nazione estesa dall’Europa all’Asia estrema: sono i termini apparentemente antitetici con cui ci si è confrontati nella settimana trascorsa in terra russa. Cominciando da San Pietroburgo, la Leningrado della rivoluzione che nel 1917 fece crollare in pochi mesi l’impero zarista della dinastia Romanov mandando al potere Lenin e poi Stalin. Non a caso il viaggio, nelle giornate umide ma festose di un Paese impegnato a celebrare Capodanno e Natale (che nel calendario giuliano cade il nostro 7 di gennaio), a San Pietroburgo è iniziato sulla tolda dell’incrociatore Aurora – da dove fu sparata  la prima cannonata contro il Palazzo d’Inverno, lussuosa residenza degli zar – e dal Museo di Storia Politica, accuratamente allestito nel palazzo di una famosa ballerina e che, nelle giornate della Rivoluzione d’ottobre (un processo in realtà prolungatosi tra la primavera e l’inverno del 1917), accolse la sede del Partito bolscevico e l’ufficio di Lenin. Qui partì, innescato secondo tradizione da un discorso al balcone dello stesso Lenin, il sommovimento politico che avrebbe definitivamente spazzato via i Romanov e instaurato in Russia (ma non solo) quella dittatura del proletariato che ha infuocato per decenni il mondo intero.

Il Museo racconta tutto questo in modo piano e spettacolare, senza troppe omissioni, mostrando anche l’altra faccia della “nuova” Russia rivoluzionaria: lo Stato poliziesco, le conseguenze nefaste di una politica economica che cancellò – anche fisicamente – i piccoli proprietari agricoli (i kulaki) e la borghesia, le deportazioni e i lager, la soppressione di ogni altra iniziativa politica, la persecuzione di tutte le religioni, cominciando da quella ortodossa. Solo su un qualche non indifferente dettaglio, i partecipanti hanno avuto da che discutere con le guide russe: quante vite umane costò, questo titanico sforzo di costruire un mondo nuovo? Dieci, venti, cento milioni? Non se ne è venuti a capo: ma è certo che l’ideologia marxista-leninista e lo Stato sovietico non andarono per il sottile nell’issare sulla Russia la bandiera rossa della rivoluzione. In nome dell’uomo nuovo fu fatta strage dell’uomo concreto e vivo che proprio a San Pietroburgo (fondata da Pietro il Grande nel 1703) aveva fatto crescere una città moderna e aperta all’Occidente, dove la storia russa poteva incontrarsi con quella europea, dove la lingua “ufficiale” era il francese, dove Caterina II la Grande contagiò la cultura locale con quella illuministica. Una grande tradizione e tante opere (molte di quelle architettoniche con firma italiana), pur in contrasto con una grave situazione sociale che vedeva povertà diffusa e semi schiavitù soprattutto nelle campagne.

Una realtà, quella prerivoluzionaria, approfondita con le visite al Museo dell’Ermitage, strepitoso forziere di opere d’arte: tra le mille e mille il gruppo, grazie alle parole di Amata Schirò, ha dato uno sguardo attento a quel “Ritorno del figliol prodigo” di Rembrandt che tanto successo ha nella pubblicistica religiosa italiana; poi le puntate alla cattedrale ortodossa Madre di Dio di Kazan’, alla Fortezza dei Santi Pietro e Paolo, alla chiesa cattolica di Santa Caterina. Senza dimenticare la famosissima Prospettiva Nevskij, il principale corso cittadino ricco di palazzi storici e straordinariamente addobbato per le festività, testimonianza indiscutibile di come pure oggi San Pietroburgo sia la città più occidentale della Russia. E senza trascurare la stessa Lavra (monastero) di Aleksandr Nevskij, il mitico eroe russo che nel XIII secolo sconfisse invasori svedesi e cavalieri teutonici. A pochi passi del monastero il cimitero che accoglie le spoglie di Dostoevskij e dei musicisti Mussorgsky, Borodin e Tchaikovsky, solo per fare qualche nome.

San Pietroburgo ha offerto pure l’occasione di un primo incontro diretto con la Chiesa ortodossa attraverso un suo sacerdote, padre Dimitrij Sizonenko, della Cattedrale della Madre di Dio Fedorovskaja, per un dialogo quanto mai desiderato. Nelle chiese ortodosse, davanti alle tante icone esposte alla devozione dei fedeli, c’è sempre tanta gente, nonostante per settant’anni ogni traccia di sacro sia stata cancellata dalla vita russa: molti anziani, ma anche giovani ed intere famiglie, invocano l’intercessione della Madonna e dei Santi accendendo piccole candele di sego; compilando su piccoli foglietti elenchi di persone da ricordare, nella preghiera, da parte del prete; inchinandosi e baciando le icone; ripetendo con una gestualità quasi meccanica il segno della croce. La nostra Messa, ovvero l’ortodossa Divina liturgia, viene celebrata solo la domenica: il popolo la segue in piedi, anche per ore, ascoltando i celebranti che stanno “nascosti” dietro la grande iconostasi (una parete decorata da icone). Una modalità che non può non colpire e disorientare chi, come noi, è abituato a ben diversa partecipazione liturgica, alla costante esposizione dell’Eucarestia, alla Messa proposta quotidianamente. Come quotidianamente è stata celebrata da don Giovanni, quando e dove capitava: nella cattedrale cattolica di Mosca o nel seminario di San Pietroburgo piuttosto che in una saletta dell’hotel Hilton Garden Inn. E quotidiana è stata la recita della Liturgia delle Ore, sul bus piuttosto nella hall degli hotel. Le domande, dunque: quanto è personalmente e comunitariamente vissuta, e non solo rituale, questa partecipazione popolare? La Chiesa ortodossa, finiti i tempi dell’ideologia e della repressione, davvero rifiorisce nel e grazie al popolo? E la fuga dei giovani dalla chiesa è un fenomeno solo dell’Occidente post moderno?

Padre Dimitrij ha messo in discussione molte delle conclusioni di noi “veloci” pellegrini. A cominciare dai (pre)giudizi sulla Divina liturgia celebrata dietro l’iconostasi: una separazione che serve piuttosto a porre il fedele davanti al Mistero del Cielo che scende sulla terra, e che attraverso le porte dell’iconostasi mette in comunicazione queste due parti. Le creature sante delle icone, spiegano gli studiosi, sono testimoni di entrambe le realtà, e hanno il compito di richiamare a tutti che il regno di Dio è tra noi. Padre Sizonenko ha raccontato quanto questa tradizione inizi a conoscere un qualche cambiamento: lo stile pittorico delle icone si semplifica e con alcuni autori torna alle raffigurazioni del cristianesimo dei primi secoli, l’iconostasi tende a ridursi spazialmente e consente una partecipazione più diretta alla Divina liturgia; con i fedeli – quegli stessi fedeli che hanno recentemente “imposto” il restauro della Cattedrale, trasformata in centrale del latte nel periodo comunista – vengono vissuti momenti comunitari accanto a quelli più liturgici e culturali. Ma, a San Pietroburgo come a Milano, c’è oggi da affrontare la grande sfida della generazione millennial, di quei ragazzi cresciuti tra smartphone ed internet e che hanno bisogno di riscoprire l’attrattiva della proposta profondamente umana del cristianesimo; l’altra sfida – ha sottolineato padre Dimitrij – è quella della divisione tra ortodossi e cattolici: una lacerazione vissuta innanzitutto a livello personale, ancor più che politico-ecclesiale, per il di-meno dell’esperienza di chi pure è stato conquistato dall’unico Dio  fattosi uomo.

Da San Pietroburgo a Mosca in poche ore, grazie al treno ad alta velocità e nonostante i continui controlli di sicurezza, per un nuovo incontro con una realtà diversa ma le stesse domande sullo sfondo. La Capitale dell’impero sovietico e adesso dell’era putiniana veste a festa per il Capodanno ormai in puro stile occidentale, tra luminarie, fuochi d’artificio e brindisi all’aperto sotto una pioggerellina fastidiosa. Il viaggio-pellegrinaggio vive anche della “sparizione” di uno dei suoi componenti, inopinatamente finito nella Piazza Rossa altrimenti proibita al resto del gruppo, che nel nuovo parco a ridosso del Cremlino propone canti italiani – tra applausi e flash dei telefonini – ai russi delle tante etnie scesi nelle strade a festeggiare: la bagarre delle celebrazioni popolari è anche questo, ma il disperso uscirà indenne dalla disavventura riuscendo a tornare da sé solo all’hotel.

Il gruppo raggiungerà la mitica Piazza Rossa solo il primo giorno del 2020: ancora controlli, metal detector e ritardi d’orario in puro stile italiano, fino a calcare il porfido antistante il Cremlino. Il mausoleo di Lenin e i busti dei leader del Partito (comunista) stanno lì a raccontare una storia che pare di secoli fa: sulla piazza delle grandi parate, tripudio di bandiere rosse e carri armati, ecco le bancarelle dei souvenir seriali (molti made in China, precisa la nostra guida) e la pista di pattinaggio come in una piazza italiana qualsiasi, mentre la veglia dei militari attorno agli eroi di Stato ha abbandonato Lenin a favore del meno politicizzato Milite Ignoto, con soldatini imbacuccati  in attesa del cambio della guardia, a tutto favore dei turisti.

A pochi passi, l’area del Cremlino. Ancora sede delle attività governative e degli incontri dello zar Putin, anche se il modernissimo Palazzo dei congressi dell’Unione sovietica accoglie oggi Al Bano e Romina piuttosto che le maxi feste dei bimbi moscoviti. Ma la cittadella fortificata affacciata sul fiume Moscova è anche e soprattutto la piazza delle cattedrali, da quella della Dormizione a quella dell’Arcangelo Michele, ovvero la storia religiosa e politica della Rus, dalla conversione di massa voluta da Vladimir alla fine del primo millennio passando per Ivan il Grande e sino agli ultimi zar Romanov, raccontata anche dalle non lontane cattedrali della Madonna di Kazan e di San Basilio: architetture, icone e affreschi dicono della fede di un popolo e delle gesta dei suoi governanti in un mix di profonda religiosità e di cinica gestione del potere, col consolidamento nei secoli di una nazione sempre più vasta e radicata in una profonda identità religiosa: neppure la lunga parentesi comunista pare riuscita a cancellarla, se oggi proprio questo legame con lo spirito della tradizione ortodossa è uno dei pilastri – più o meno “usato” dalla politica – di una nazione che vuole essere tra le grandi del mondo.

I cattolici sono una piccola minoranza, ma il viaggio-pellegrinaggio non poteva non far tappa alla cattedrale cattolica dell’Immacolata Concezione, adibita a magazzino e ad ostello nei decenni sovietici e oggi quartier generale dell’arcivescovo Paolo Pezzi, il sacerdote italiano alla guida dei cattolici russi per volere di Papa Benedetto XVI. Qui, in una cappella del seminterrato, don Giovanni celebra l’Eucaristia, mentre la navata principale accoglie la Messa per i polacchi, una delle più numerose comunità cattoliche di Mosca. In chiesa una novantina di persone: molte, in stile più ortodosso che cattolico, arrivano o se ne vanno durante la celebrazione, mentre qualche famigliola gioca all’esterno coi bambini nell’oscurità incalzante del pomeriggio. Ma è come essere a casa, fratelli – attorno all’altare – anche di chi si è incontrato per pochi istanti, e che mai più si incontrerà.

Di ben altro impatto la visita a Sergiev Posad, una settantina di chilometri da Mosca, sede di quel Monastero della Trinità di San Sergio che è il principale centro spirituale della Chiesa ortodossa. Nevica (finalmente), ma il monastero e i suoi dintorni sono gremiti di pellegrini. Noi turisti bypassiamo le code dei fedeli che si prolungano all’esterno delle tante chiese in attesa di poter pregare e baciare le icone dei Santi protettori, cominciando da San Sergio, piuttosto che di raccogliere in piccole taniche l’acqua santa che sarà portata a casa. Fede profonda o tradizione forse scontata, quanto si vede non può non colpire; e nomi come quelli di Andrej Rublev, straordinario autore di icone, o dello zar Boris Godunov evocano straordinari momenti di storia russa estraendoli dalla nostra memoria occidentale di musiche o film visti in Italia. Allo splendore e all’affollamento di Sergiev Posad fa da contraltare la puntata ai luoghi dove padre Aleksandr Men’ visse e morì, ucciso con un colpo di scure lungo un viottolo di campagna della sua Semchoz. Era il 9 settembre 1990: l’assassino non è mai stato individuato, né il movente. La nipote Daria Grigorenko ci fa da guida tra la chiesa dove suo padre, Viktor, è parroco (quando arriviamo sta spalando neve fuori dalla cappelletta che per prima fu costruita a ricordo di Aleksandr Men’): Daria parla italiano, racconta appassionata della vita del sacerdote che nel lungo travaglio della fine del comunismo ha saputo dare dignità anche culturale alla fede ortodossa, interloquendo coi potenti di allora (primo sacerdote ortodosso, fra l’altro, a partecipare ad un dibattito sul canale principale della tv di Stato) e animando una comunità viva fatta di anziani fedeli e di giovani ansiosi di trovar risposte non preordinate o ideologiche ai propri interrogativi; pubblicando decine di libri venduti in milioni di copie e tradotti in tutte le lingue; curando la catechesi per piccoli e meno piccoli in un Paese dove per decenni la fede è stata trasmessa solo grazie ai ricordi delle “Babushke” (nonne, donne anziane).

 Un sacerdote che ha vissuto con lo stesso dolore già detto da padre Dimitrij la divisione con la Chiesa di Roma, che con i cattolici dialogava e si appassionava al confronto fino a scrivere la prefazione all’edizione russa del “Senso religioso” di don Luigi Giussani. Un’esperienza trascinante, la sua, invisa dagli apparati del regime quanto amata dalla gente: tanto che per voler di popolo – dopo la sua morte – sono sorte prima una cappella, poi una chiesa, quindi un museo meta di pellegrini ortodossi e cattolici. Moltissimi, indirizzati da Russia Cristiana, gli italiani lì a pregare davanti alla croce innalzata nel luogo dove morì.

Come raccapezzarsi, tra queste diverse testimonianze della religiosità ortodossa? Sempre a Mosca, ammirando le straordinarie icone di Rublev ospitate alla Galleria Tret’jakov insieme a una massa impressionante di opere di autori russi d’ogni secolo, si scopre ancora che -­ sempre per gran richiesta popolare ­ – dentro il perimetro della Galleria è stata fatta costruire la chiesa che ospita la l’icona della Madre di Dio di Vladimir, quella Madonna della Tenerezza abbracciata dolcemente da Gesù Bambino che secondo una devozione mai scalfita neppure dal comunismo ha sempre protetto la Russia e il suo popolo. Hanno voluto una chiesa perché quell’icona non è solo arte, e solo dentro pareti sacre può essere venerata rispettando la sua sacralità. Il tour tra le cento vetrine turistiche sulla via pedonale dell’Arbat (anche il nostro viaggio ha pagato il suo tributo all’acquisto dei souvenir pro parenti) o dentro le stazioni della metropolitana moscovita (dove Lenin e l’epica sovietica la fanno ancora da padroni: ma, spiega la guida, chi si sobbarcherebbe mai l’onere di rimuovere quelle testimonianze?) non acquietano i pellegrini intrigati dalla domanda sulla religiosità del popolo russo. Non foss’altro perché l’interrogativo è rilanciato sulla consistenza della nostra stessa religiosità.

Il pellegrinaggio è alle sue ultime ore, la visita alla Biblioteca dello Spirito di Mosca offre nuove risposte lasciando aperta la domanda. Il belga Jean-Francois Thiry, animatore di questo singolare centro, ne racconta l’origine e lo sviluppo. Voluta da padre Scalfi e da Russia Cristiana per “stare” nella Russia post sovietica, la Biblioteca è nata dalla collaborazione tra cattolici e ortodossi: ha prodotto e diffuso migliaia di libri in russo, dai classici del pensiero cattolico agli strumenti per la catechesi. Nel corso degli anni si è trasformata in centro culturale, punto di incontro di idee e religioni diverse: un salone ospita dibattiti, mostre, spettacoli; la libreria propone titoli d’ogni genere; si vende anche tè, un piccolo bar accoglie chi vuol scambiare quattro chiacchere. Accoglienza e dialogo profondo sono le parole chiave che lo definiscono: come ha spiegato Thiry, nel corso dell’anno viene messa in calendario una media di cinque e più iniziative ogni settimana, e la gran parte scaturiscono da proposte “esterne” alla Biblioteca, spesso avanzate da singole persone. Si accolgono le idee, ma si dialoga con i promotori per andare al fondo dell’iniziativa. Alcune riescono, altre meno, ma la Biblioteca dello Spirito è negli anni diventata uno spazio di libertà e di rapporto costruttivo tra ortodossi, cattolici e laici, più forte di tutti gli schemi e i pregiudizi della Russia postcomunista. Una realtà in movimento per una proposta educativa ad ampio respiro che si gioca senza pregiudizi ma pure senza pretese, segno importante della possibile unità tra ortodossi e cattolici nel momento in cui la religione rischia di diventare uno dei pilastri ideologici del nuovo potere e del nazionalismo, e la religiosità semplice ripetizione di formule e devozioni.

Il viaggio si conclude qui, prima del volo verso Francoforte e Milano. Il pellegrinaggio ha fatto compiere a ciascuno dei partecipanti un altro passo sulla via della propria conversione, nell’incontro straordinario con una tradizione millenaria come quella dell’ortodossia russa.

Gigi Riva

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