Domenica 14 ottobre il Papa ha canonizzato Giovanni Battista Montini, pontefice in una fase complessa e feconda della Chiesa, seguita al Concilio Vaticano II.
Mons. Apeciti, rettore del Pontificio Seminario Lombardo e membro della Congregazione delle Cause dei Santi, ne fa un ritratto ricco di citazioni, sottolineando la salda fede di Paolo VI dinnanzi ai cambiamenti epocali, ricordando la sua passione per la vita, senza trascurare l’importanza dell evangelizzazione.
Paolo VI è stato dichiarato “santo” da papa Francesco domenica 14 ottobre.
“Dichiarare santo”, quest’espressione mette un poco in sordina quella più solenne e più tecnica: “canonizzare”. Il Papa “canonizza” una persona, mentre la iscrive nell’Albo dei Santi della Chiesa di Dio. Canonizzare significa “rendere canonico”, ovvero rendere “modello sicuro e stabile” qualcosa o qualcuno. Significa che Paolo VI ci viene proposto come modello stabile e sicuro di cristiano, di credente, di prete.
UN MODELLO
Che “modello” può essere Paolo VI? Ci aiuta a rispondere la Provvidenza, che ha fatto in modo che papa Montini sia canonizzato proprio durante il Sinodo dei giovani.
Quaranta anni fa Paolo VI moriva in Castel Gandolfo, quasi improvvisamente. (il 6 agosto 1978).Il crollo fisico avvenne in poche ore, accompagnato da quel segno che colpì chi era presente: mentre il Papa esalava l’ultimo respiro, la sua sveglia squillò, quella sveglia, dono di sua madre e che lo aveva accompagnato negli anni romani, dal Pontificio Seminario Lombardo, in cui giunse giovane prete novello, ai mesi di Nunziatura in Polonia, ai molti anni di servizio presso la Segreteria di Stato e su su sino ai rapidi anni a Milano, con il ritorno a Roma come Sommo Pontefice.
Quella sveglia aveva squillato per svegliare il papa morente sulla terra, affinché aprisse gli occhi nell’alba alla luce di Dio che lo attendeva.
Credo che Paolo VI abbia sorriso, mentre donava il suo ultimo respiro a chi gli era vicino, per cominciare a respirare con il ritmo stesso di Dio. Sorrise – così penso – e disse a quel Dio, che finalmente vedeva: «Padre, ho conservato la fede. Non ho mai tradito il santo vero».
Erano le parole che aveva pronunciato solennemente poco più di un mese prima, il 29 giugno: «Ecco, Fratelli e Figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. “Fidem servavi! Possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito “il santo vero” (A. Manzoni)».
CAMBIAMENTO D’EPOCA
Aveva conservato la fede, in quei quindici anni di splendido e intenso e drammatico pontificato, che avevano visto il mondo e la Chiesa iniziare quel “cambiamento di epoca”, che stiamo ormai vedendo con chiarezza e del quale parla con insistenza papa Francesco. Cambiava un’epoca, rimaneva salda la fede. Anche quando aveva sperimentato il lancinante dolore della morte dell’amico Aldo Moro, massacrato come la sua scorta pochi mesi prima: «Ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il De profundis, il grido cioè ed il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte?».
Presentiva, forse, che era la sua ultima preghiera, quando scandì con voce roca questa preghiera nella Basilica di San Giovanni in Laterano il 13 maggio di quaranta anni fa.
Era la stessa fede che aveva proclamato dieci anni prima, il 30 giugno 1968, concludendo l’Anno della Fede con la sua famosa Professione di Fede, conosciuta oggi come Credo del Popolo di Dio. Paolo VI aveva tracciato una sintesi gigantesca della fede millenaria della Chiesa: «Noi crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, creatore delle cose visibili, come questo mondo ove trascorre la nostra vita fuggevole, delle cose invisibili quali sono i puri spiriti, chiamati altresì angeli, e Creatore in ciascun uomo dell’anima spirituale e immortale».
Era stato un gesto inatteso, e lo si vede bene nei filmati della celebrazione: Paolo VI invita a sedere con larghi gesti della mano i cardinali, che si erano alzati pensando di recitare il solito Credo e fissano stupiti il Pontefice, che motivò la sua Professione: «Noi siamo coscienti dell’inquietudine, che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede. Essi non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità. Senza dubbio la Chiesa ha costantemente il dovere di proseguire nello sforzo di approfondire e presentare, in modo sempre più confacente alle generazioni che si succedono, gli imperscrutabili misteri di Dio, fecondi per tutti di frutti di salvezza. Ma al tempo stesso, pur nell’adempimento dell’indispensabile dovere di indagine, è necessario avere la massima cura di non intaccare gli insegnamenti della dottrina cristiana. Perché ciò vorrebbe dire – come purtroppo oggi spesso avviene – un generale turbamento e perplessità in molte anime fedeli».
Parole coraggiose, come quelle che pronunciò due mesi dopo, quando la Cecoslovacchia fu invasa dall’esercito sovietico, soffocando i germogli della Primavera di Praga, il tentativo di liberarsi dalla dittatura comunista, una delle molte che oppressero il mondo in quei decenni. Paolo VI era in partenza per Bogotà, dove proclamò ancora una volta la fede della Chiesa, durante la grandiosa celebrazione per l’ordinazione di circa duecento tra diaconi e presbiteri: «Signore, noi osiamo, in questo momento solenne e decisivo, di esprimerti un’ingenua, ma non stolta preghiera: fa’ o Signore, che noi comprendiamo. Noi comprendiamo ricordando che Tu, Signore Gesù, sei il mediatore fra Dio e l’umanità; non diaframma, ma tramite; non ostacolo, ma via; non un saggio fra i tanti, ma il Maestro unico; non un profeta qualunque, ma il solo, il necessario interprete del mistero religioso, l’unico che congiunge Dio all’uomo, l’uomo a Dio. Fa’, o Signore, che noi comprendiamo questa fondamentale verità».
LA VERITÀ
Comprendere la verità e annunciarla con fedeltà.
Fu questa l’ansia di Paolo VI proprio cinquanta anni fa, quando pubblicò l’ultima sua enciclica, Humanae vitae, così travisata da una stampa – e da certa Chiesa – miope di mente e di cuore. L’incipit in latino fu stravolto, poiché Paolo VI parlò di munus degli sposi, ovvero di carisma, di missione, di potere che Dio aveva affidato loro, come ai sacerdoti e ai vescovi aveva ed ha affidato il munus di servire i fratelli con l’annuncio del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti. Munus fu tradotto in “dovere”, cosicché si accusò il Papa di “obbligare” ad avere figli, mentre egli parlava della divina responsabilità che hanno gli sposi.
Non venne meno il coraggio della fede in Paolo VI, poiché era il coraggio dell’amore, dell’amore per la vita di ogni essere umano. Il suo era “amore per l’uomo”: «Abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa», aveva detto nella sua ultima omelia, quella del 29 giugno 1978.
Era vero: nel 1967 aveva pubblicato la Populorum Progressio, a difesa della vita contro la povertà, la fame e la miseria, poiché – scrisse – «la Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello».
I GIOVANI
La Provvidenza ha fatto sì che Paolo VI sia stato canonizzato durante il Sinodo dei giovani. Forse per ricordarci che in lui fu costante l’attenzione al mondo giovanile, che rappresenta sempre – per ogni generazione – il futuro dell’uomo.
Fu proprio lui, Paolo VI, a celebrare la prima Giornata della Gioventù, divenuta nel tempo l’incontro grandioso che raccoglie giovani del mondo intero. Accadde per la Domenica delle Palme dell’Anno Santo 1975, 23 marzo: «Il nostro invito – disse – è provocante! Come un invito d’amore! L’invito a questa festiva cerimonia vuole entrare nei vostri cuori, con una incalzante domanda: Giovani del nostro tempo, volete riconoscere che Gesù è il Salvatore? È il Maestro? È il Pastore, è la guida, è l’amico della nostra vita? È Lui, e solo Lui, che conosce in profondità il nostro essere, il nostro destino; è Lui, Lui solo che può estrarre dalla nostra oscura coscienza la nostra vera personalità; Lui, Lui solo».
E continuò appassionato: «Volete anche voi, giovani di questo critico momento storico e spirituale, come quelli del giorno delle Palme a Gerusalemme, riconoscere Gesù come il Messia, come il Cristo Signore, centro e cardine della vostra vita? Lo volete davvero porre al vertice della vostra fede e della vostra gioia?».
Fu provocante: «Si tratta di uscire da quello stato di dubbio, d’incertezza, di ambiguità, in cui si trova e si agita spesso tanta parte della gioventù contemporanea. Si tratta di superare la fase di crisi spirituale, caratteristica dell’adolescenza che passa alla giovinezza, e poi dalla giovinezza alla maturità; crisi di idee, crisi di fede, crisi di orientamento morale, crisi di sicurezza circa il significato e il valore della vita. Quanti giovani crescono con gli occhi chiusi, o miopi almeno, circa la direzione spirituale e sociale del loro cammino verso il futuro».
Paolo VI credeva nei giovani, poiché credeva nell’uomo, che custodisce in se stesso la presenza di Dio, l’impronta di Cristo, a cui immagine siamo: «Un Cristo riscoperto. Un Cristo acclamato. Un Cristo umilmente e fermamente creduto, non nella perpetua e pigra penombra del dubbio, ma nella limpida luce della dottrina, che la Chiesa maestra di verità ci propone. Un Cristo incontrato nell’adesione esultante alla sua parola e alla sua misteriosa presenza ecclesiale e sacramentale. Un Cristo vissuto nella fedeltà semplice e lineare al suo Vangelo, sì esigente fino al sacrificio, ma solo fonte di inesausta speranza e di vera beatitudine. Un Cristo, velato e trasparente in ogni volto umano del collega, del fratello bisognoso di giustizia, di aiuto, di amicizia e di amore. Un Cristo vivo».
Per questo Paolo VI è santo: per ricordarci che solo Cristo è tutto, che lui solo vale la pena, che lui solo pienamente realizza le nostre ansiose aspirazioni umane. La Provvidenza ci dona di proclamare santo Paolo VI, il “Papa dei giovani”, cui confidò in quella Giornata: «Cristo è per voi; Cristo e con voi! Oggi e domani; Cristo per sempre».
Mons. Ennio Apeciti